Luigi Pomata: il custode del tonno rosso e delle relazioni che contano | Olianas

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Luigi Pomata: il custode del tonno rosso e delle relazioni che contano
a cura di Jessica Cani
Luigi Pomata cresce a Carloforte, in una famiglia dove la cucina non era un hobby né una passione domenicale, ma la quotidianità. "Non è che qualcuno mi ci metteva in cucina, ero io che non potevo farne a meno. Mi ha sempre affascinato questo mondo, quindi veniva naturale avvicinarsi”. Inizia così la nostra chiacchierata nel suo ristorante di Cagliari. Suo nonno, agricoltore con una grande passione per la cucina, aveva preso in gestione il ristorante dell'Hotel Riviera. Poi suo padre Nicolo ha proseguito questa strada, aprendo Da Nicolo, che è diventato uno dei riferimenti della ristorazione regionale.
La materia prima, il pesce soprattutto, non era qualcosa di eccezionale in casa Pomata: era ciò che si vedeva ogni giorno, ciò che arrivava fresco dal mare, ciò che dettava il ritmo delle giornate. Non la straordinarietà ma la normalità. Carloforte è questo: mare, tonno, tradizione. Un'isola nell'isola, dove il legame con il mare è viscerale, necessario.
A Carloforte la prassi era iscriversi al nautico. Non c'erano molte altre scelte per i ragazzi dell'isola. Pomata segue questa strada con una consapevolezza: suo padre vuole che studi prima di entrare nel mondo del lavoro, anche se la cucina continua a richiamarlo. Sente di non avere ancora abbastanza conoscenze, così dopo il diploma decide di iscriversi all'alberghiero di Alghero. Lì incontra grandi maestri, persone che lo guidano e gli danno le basi giuste per poter lavorare in modo professionale con questo mondo.

Finiti gli studi, suo padre non lo obbliga a stare da lui in cucina. Entrambi condividono la stessa convinzione: per imparare davvero bisogna conoscere il mondo. Pomata parte con l'idea di tornare in Sardegna ma sa che prima deve formarsi altrove, vedere come lavorano i grandi, capire cosa significa fare cucina ad altissimi livelli.
Il viaggio lo porta a Parigi, poi a New York, a Milano, infine a Londra nelle cucine di Marco Pierre White. Sono esperienze che lo segnano profondamente, che lo plasmano come cuoco e come uomo. "A Londra entravo alle sette del mattino e uscivo alle undici di sera" mi racconta. ”Era un lavoro molto faticoso, ma in quel periodo della mia vita l'ho scelto consapevolmente perché sapevo benissimo che quello era l'unico modo per imparare davvero, per vedere tutto e crescere”.
Sono anni duri, fatti di sacrifici ma sono anche gli anni in cui capisce con chiarezza chi vuole essere e, soprattutto, dove vuole tornare. "Anche se a New York mi sarei potuto fermare”, mi confessa, "sentivo che dovevo rientrare. Abbiamo tanto da dire anche noi, e la Sardegna è una terra incredibile per biodiversità, prodotti e tradizioni”. In quella frase c’è l’essenza di ciò che creerà poi negli anni: l'orgoglio per le proprie radici, la consapevolezza del valore del territorio, la voglia di dimostrare che l'eccellenza non è monopolio delle grandi capitali.

Quando torna in Sardegna, decide di aprire un suo spazio. Prima Next, poi il ristorante Luigi Pomata, che nella fase iniziale ha anche un bancone col sushi bar. Cagliari apprezza subito, il pubblico risponde.
"Mio padre era una figura che richiedeva spazio”, mi spiega con franchezza, "così come lo richiedevo io. Lavorare vicini non sarebbe stato semplice”. In queste parole ci sono la visione e gli insegnamenti del padre che restano comunque elementi fondamentali nella filosofia e nei valori che Pomata si porta dietro ogni giorno. Sono le fondamenta invisibili su cui costruisce il suo approccio alla cucina, al lavoro, alla vita.
Quando gli chiedo quali sono gli elementi fondamentali della sua cucina, non mi parla di tecniche o di piatti. Mi parla di relazioni. "Le relazioni sotto tre punti di vista principali: con i fornitori, con la squadra e con il cliente”.

Il rapporto con i fornitori è forse l'aspetto più interessante del suo modo di lavorare. Lo chef Pomata non sta quasi a guardare i prezzi nel senso tradizionale del termine. "So quanto costa il pesce, ovviamente”, mi chiarisce, "ma non è che ogni volta vado a controllare le differenze. Io so che voglio quel determinato tipo di pesce, voglio quel polpo, voglio quel dentice e le voglio con una qualità ben precisa”. C’è una persona che va per lui a prendere il pesce dal pescatore. Pomata conosce più o meno la linea su cui si aggira il prezzo di quel prodotto, ma non fa i conti in tasca ogni volta. "Sarebbe semplice lavorare principalmente sul food cost, così per andare al ribasso" ammette, “ma innanzitutto non avrei un prodotto sempre buono, sempre fresco, così come lo desidero, e poi non avrei il cliente felice”. È una scelta consapevole, quasi radicale in un'epoca in cui i margini contano più di tutto.
Mantenere relazioni solide con i produttori significa costruire un rapporto di fiducia reciproca che va oltre la singola transazione commerciale. I fornitori sanno cosa cerca, conoscono i suoi standard, e lui si fida della loro capacità di selezionare il meglio.

Il secondo pilastro sono le relazioni con la squadra. "Senza la mia squadra non sarei nulla”, mi dice. "Il mio lavoro si regge sul lavoro delle persone che lavorano per me”.
Per questo garantire turni sostenibili e dare sempre più tempo ai suoi collaboratori è fondamentale. Luigi ha vissuto sulla sua pelle cosa significa lavorare sedici ore al giorno. Sa cosa costa quella vita in termini umani. E ora che può decidere, sceglie un'altra strada. Rispettare chi sta in cucina e in sala significa rispettare il ristorante stesso.
Il terzo pilastro è la relazione con il cliente. "Offrire al cliente sempre il meglio, non prenderlo in giro e dargli la massima soddisfazione" mi spiega. Ogni piatto che esce dalla sua cucina porta con sé una responsabilità enorme: quella di rappresentare Carloforte, la Sardegna, la sua famiglia, il lavoro dei suoi fornitori e della sua brigata. È una dichiarazione d’intenti.

Nel 2001 inizia la sua avventura con La Prova del Cuoco. Per Pomata è un'opportunità per diventare ambasciatore del territorio sardo. "Grazie a questa esperienza sono riuscito a portare Carloforte e la Sardegna fuori, facendo anche conoscere la produzione locale" mi racconta.
Nel 2003 rappresenta l'Italia al prestigioso Bocuse d'Or e vince la rassegna mondiale del Couscous. Sono riconoscimenti che gli danno visibilità internazionale, ma per lo chef contano soprattutto perché gli permettono di raccontare la sua terra su palcoscenici importanti.

È qui che veicola tutto, nel suo progetto più importante: il Girotonno. È un evento che ha voluto fortemente e che gli ha permesso di portare visibilità nazionale e internazionale sull'isola di Carloforte attraverso la narrazione di un lavoro con una storia millenaria, come quella dei tonnaroti. "Il tonno è un simbolo, una storia, un pezzo della nostra identità" mi spiega. "Nasce anche per crescere insieme, valorizzando il territorio. Non sono geloso delle mie ricette, anzi, mi piace condividerle”.
La tonnara di Carloforte è una delle più antiche del Mediterraneo e si attesta ai vertici internazionali della pesca del tonno di qualità. È prima nel Mediterraneo per quantità e vanta una plurisecolare attività mai interrotta dal 1738, anno di fondazione della città. Ma le origini sono ancora più remote: con il nome di Ieracon in epoca fenicia e di Acipitrum Insula nel periodo romano, l'Isola di San Pietro è la più antica sede di tonnare di cui si hanno reperti e testimonianze visibili.
Nel corso dei secoli si è consolidata una ritualità profonda che lega questo luogo del Mediterraneo al tonno. I Fenici amavano a tal punto il tonno da coniarlo sulle proprie monete. È nato così una sorta di rito laico che si perpetua da millenni. I tonni adulti, chiamati "tonni di corsa", entrano dall'Oceano nel Mediterraneo per riprodursi. Ben pasciuti e attirati dal richiamo sessuale, in primavera migrano a branchi lungo la costa.
Il Girotonno si svolge ogni anno nel ponte tra maggio e giugno e dura quattro giorni ma è molto più di un evento gastronomico. È un'occasione per celebrare tutta la cultura di Carloforte, le sue radici tabarchine, la contaminazione tra culture diverse che ha reso unica questa isola nell'isola. È il modo di Luigi di dire grazie al suo territorio, di restituire ciò che ha ricevuto.

Quando non è al lavoro, Luigi ama mangiare nei ristoranti dei suoi amici: Francesco Stara di Fradis Minoris, Pierluigi Fais di Josto, Clelia Bandinu di Luccita, Roberto Pisano de La Spigola. "Sono tutti colleghi che stimo profondamente e con cui condivido la stessa passione per la qualità e il territorio" mi dice.
Tornano le relazioni, la rete di persone che condividono gli stessi valori, la stessa visione. Per Pomata la cucina non è una competizione, è un ecosistema in cui tutti possono crescere insieme.
Gli chiedo quale sia il suo sogno per il futuro. "Continuare a fare sempre meglio rispettando sempre la tradizione” risponde. "Vorrei un po' più di unione in Sardegna e più valorizzazione del territorio. Più squadra, più risultati. La nostra volontà deve essere quella di lavorare insieme, di crescere come sistema, perché solo così possiamo davvero fare la differenza”.
Nei suoi piatti c'è la sua vita, le sensazioni, i profumi che chi ha avuto la fortuna di nascere in un'isola come Carloforte ha il dovere di trasmettere. Questa è la sua missione, ogni giorno. Non è retorica, è un impegno concreto che si traduce nella scelta di un ingrediente piuttosto che un altro e nel rapporto con le persone.
Luigi Pomata non è solo uno chef. È un costruttore di relazioni e vero narratore del territorio. E mentre mi parla, con la sua voce diretta, capisco che la sua vera ricetta non sta nei piatti, per quanto straordinari. Sta nel modo in cui intreccia persone, prodotti e luoghi. Sta nelle relazioni che coltiva ogni giorno, con la stessa cura con cui sceglie il miglior tonno rosso della tonnara.
