Matteo Buccoli: dare forma allo spazio | Olianas
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Matteo Buccoli: dare forma allo spazio
a cura di Jessica Cani
Questo mese Vite esplora il dibattito progettuale contemporaneo attraverso due voci autorevoli: Matteo Buccoli, poliedrico progettista e ceramista del panorama creativo sardo, e Saverio Innocenti, architetto fiorentino che ha plasmato l'identità architettonica di Tenuta Olianas. Le loro visioni, apparentemente distinte ma profondamente interconnesse, rivelano come l'architettura contemporanea possa non solo preservare, ma anche esaltare l'identità storica di un territorio proiettandola nel futuro.
Matteo Buccoli emerge come una figura singolare: un progettista che ha intrecciato architettura, design e artigianato in un dialogo costante con il territorio. La sua visione multidisciplinare manifesta una particolare sensibilità nel modellare lo spazio, sia attraverso l'architettura sia attraverso il lavoro con l'argilla, costruendo un ponte tra progettazione e materia.
Gli chiediamo che vino ci offrirebbe: "Un Carignano del Sulcis senza dubbio. Per me il rosso rappresenta la convivialità vissuta in Sardegna" confessa. "È un rimando all'ospitalità, per me il rosso è casa."
Con un calice in mano, iniziamo la conversazione alla scoperta del suo lavoro nell'isola. "Ho cominciato come ingegnere" racconta Buccoli, ripercorrendo il suo percorso formativo, "Ma ho sempre avuto l'occhio rivolto al design e all'architettura". Questa formazione poliedrica - prima in ingegneria e successivamente in architettura a Cagliari - rappresentava solo l'inizio di un cammino che lo avrebbe condotto a esplorare territori creativi sempre più vasti. La svolta giunge con un'esperienza a Berlino, dove una borsa di studio gli consente di specializzarsi nella comunicazione del progetto, un elemento che diventerà fondamentale nel suo approccio professionale.
Lo sviluppo della sua pratica professionale si è intessuto con l'evoluzione dei social network, impiegando piattaforme come Facebook, Instagram e Tumblr per comunicare i suoi progetti. "Si possono utilizzare diversi strumenti di comunicazione all'interno dello stesso media" spiega Buccoli, "dal disegno alla fotografia, dal testo alla tipografia”. Questa versatilità espressiva gli permette di sviluppare supporti funzionali a ogni aspetto del suo lavoro, sebbene mantenga un approccio selettivo e genuino alla comunicazione digitale.
In un'epoca in cui l'architettura rischia di disperdersi nel virtuale - tra rendering e immagini generate dall'intelligenza artificiale - Buccoli sceglie la via della concretezza. "Io comunico solo ciò che è costruito e realizzato”, afferma. Una decisione che lo rende più misurato nella comunicazione rispetto a molti colleghi, ma che assicura una qualità e una verità sempre più rare nel panorama dell'architettura contemporanea.
Il suo metodo progettuale è olistico e si manifesta particolarmente nei lavori legati al settore enogastronomico. Il progetto di Pipette, a Cagliari, incarna forse l'esempio più significativo di questa concezione totalizzante dello spazio. "Abbiamo riflettuto approfonditamente sull’atmosfera”, spiega Buccoli. "Desideravamo creare un bistrot con un'anima mediterranea, che evocasse i bar del centro Sardegna, quei luoghi che appaiono cristallizzati nel tempo”. Uno tzilleri, per intenderci, ma moderno. Ma l'intervento progettuale si spinge oltre le scelte architettoniche.
Per Buccoli, progettare uno spazio ristorativo significa orchestrare un'esperienza completa, dove ciascun elemento contribuisce a generare un'atmosfera coerente e autentica. A Pipette, questo si traduce in un dialogo intenso tra la proposta gastronomica internazionale con particolare attenzione alla Francia e un'estetica profondamente mediterranea. Gli archi della facciata, l'intonaco ruvido, le basi in legno scuro - elementi apparentemente semplici ma minuziosamente studiati - plasmano un ambiente che riflette e amplifica l'esperienza culinaria.
Il progetto trascende gli elementi fisici dello spazio. Buccoli ha immaginato ogni sfaccettatura dell'esperienza: dalla selezione musicale alle collaborazioni con le edicole locali per la selezione di pubblicazioni di qualità. "È un modo per conferire una reale anima al luogo”, spiega. In un'epoca in cui numerosi locali si limitano a essere dei contenitori vuoti, Pipette si distingue per la sua capacità di offrire un'esperienza completa e armoniosa.
Questa meticolosa attenzione al dettaglio e alla programmazione culturale ha consentito al locale di distinguersi in un panorama ristorativo sempre più affollato. "A Cagliari nell'ultimo anno si è triplicata la quantità di ristoranti," osserva Buccoli. "Nell'epoca di Pinterest, Spotify e Instagram, dove tutto appare omologato, diventa arduo emergere." La risposta a questa sfida risiede proprio nella capacità di forgiare un'identità forte e autentica, che si manifesta in ogni aspetto dell'esperienza offerta al cliente.
La sua espressione artistica si declina attraverso due linguaggi complementari: l'architettura e la ceramica. "Sono due universi che comunicano incessantemente”, rivela Buccoli. "Esistono forme che creo da zero con l'argilla che mi suggeriscono idee per l'architettura e architetture che mi ispirano per le creazioni ceramiche”. Questo scambio perpetuo tra le due discipline rappresenta il nucleo pulsante della sua ricerca creativa, dove la materialità diventa il ponte tra la dimensione architettonica e quella dell'oggetto d'uso quotidiano.
È proprio in questa intersezione che nasce uno dei suoi progetti: la trasformazione di scarti edilizi in raffinati oggetti per la ristorazione. Durante la costruzione di un edificio, Buccoli si è trovato davanti a una quantità significativa di materiale di scarto, principalmente mattoni. Invece di considerarlo un rifiuto destinato alla discarica, ha intravisto il potenziale per una metamorfosi. "Ho lavorato sul riutilizzo dello scarto trasformandolo di nuovo in materia di primo utilizzo”. Questo processo di trasformazione incarna la sua visione artistica: il materiale edilizio, attraverso l'applicazione di smalti di prima qualità, viene elevato a oggetto di design destinato all'uso culinario. È un percorso che sfida le convenzioni tradizionali della produzione ceramica e contemporaneamente crea un ponte concettuale tra l'edificio e gli oggetti che lo abitano. Il risultato sono pezzi unici che conservano la memoria della loro origine architettonica mentre servono un nuovo scopo nel mondo della ristorazione.
Questa capacità di vedere oltre l'uso convenzionale dei materiali è emblematica dell'approccio di Buccoli alla sostenibilità. Non si tratta semplicemente di riciclare, ma di reinventare la funzione e il significato di un materiale attraverso una sensibilità artistica che unisce architettura e design. È un processo che richiede una profonda comprensione sia delle proprietà tecniche dei materiali sia delle possibilità estetiche che questi offrono.
"Non basta apporre un'etichetta verde su qualcosa”, sottolinea. "Occorre saper dimostrare con dati oggettivi come, nel lungo periodo, determinate scelte possano condurre a un reale risparmio energetico e ambientale”. Questo approccio si manifesta nei suoi progetti architettonici, dove spesso recupera tecniche tradizionali, quelle dei "nostri nonni", integrandole con soluzioni contemporanee per creare edifici efficienti e sostenibili senza necessariamente ricorrere a costosi materiali certificati.
La stessa attenzione al riuso creativo dei materiali emerge in un progetto sviluppato per un cliente nel settore dell'itticoltura, dove i gusci delle cozze vengono impiegati per la pacciamatura. "Abbiamo utilizzato gli scarti delle cozze per proteggere e nutrire il terreno”, spiega, "permettendo di mantenere l'umidità del suolo anche con temperature elevate”.
Il legame con il territorio è essenziale nel suo lavoro e si esprime attraverso il dialogo con il patrimonio culturale sardo. Attualmente, sta sviluppando un progetto che trae ispirazione dalle forme arcaiche dell'isola: "Sto attingendo da tutte quelle opere archeologiche di cui la Sardegna è ricca per creare dei piccoli prodotti ceramici. Mi ispiro all'entrata del pozzo di Santa Cristina, ai menhir... ci sono innumerevoli riferimenti della Sardegna".
Il museo archeologico di Cagliari è diventato per lui una fonte inesauribile di ispirazione, dimostrando come le forme del passato possano essere reinterpretate in chiave contemporanea. "Ci sono manufatti che potrebbero essere stati disegnati ieri e invece risalgono a migliaia di anni fa" osserva, sottolineando come l'innovazione possa sgorgare anche dalla rilettura della tradizione.
Questo dialogo continuo tra passato e presente, tra architettura e artigianato, tra forma e funzione, caratterizza tutto il lavoro di Buccoli che, anche grazie alla sua esperienza lontano dall'isola, oggi ha un forte legame col territorio. Le forme arcaiche dell'architettura nuragica influenzano le sue creazioni ceramiche, mentre le sperimentazioni con i materiali danno forma ai suoi progetti architettonici. È un approccio che dimostra come l'innovazione più interessante nasca spesso dall'intersezione di mondi diversi, dalla capacità di creare connessioni inaspettate che portano valore aggiunto reciproco.
Queste connessioni si creano inevitabilmente anche a tavola e nei luoghi che ama frequentare, come Pipette, appunto, l'Old Friend e Ristorante Italia, tutti ristoranti del capoluogo sardo.
In un'epoca in cui l'architettura e il design rischiano di perdersi in un virtuale sempre più seducente, il lavoro di Matteo Buccoli ci ricorda l'importanza della materialità, della pazienza, della connessione con il territorio. La sua capacità di dare forma allo spazio, sia attraverso l'architettura sia attraverso l'argilla, ci mostra come la vera creatività nasca dalla comprensione profonda dei materiali e del loro potenziale. Ci dimostra come la vera sostenibilità non sia una questione di etichette, ma di scelte consapevoli e di rispetto per la tradizione. E soprattutto, ci insegna che l'innovazione più autentica nasce spesso dalla capacità di guardare al passato con occhi nuovi, trovando nelle forme antiche le risposte alle sfide del futuro.
In questa edizione, VITE si fa in due per raccontare non solo chi ha plasmato Tenuta Olianas. Dopo Matteo Buccoli, incontriamo Saverio Innocenti, l'architetto fiorentino che ha dato forma alla nostra cantina, traducendo in pietra e design la filosofia biointegrale dell'azienda.
Laureato a Firenze nel '92, Innocenti ha costruito la sua identità professionale rivoluzionando il concetto di ristorazione nel capoluogo toscano. "Abbiamo iniziato a usare materiali diversi, a dare un'immagine più contemporanea, senza stravolgere il concetto di trattoria”, racconta, riferendosi al suo primo progetto significativo, che nel '95 ha segnato una svolta nel modo di concepire gli spazi della ristorazione tradizionale.
La responsabilità di dare forma allo spazio per l’architetto Innocenti non è un peso, ma uno stimolo creativo. "Ogni progetto è una sfida che mi spinge oltre le soluzioni già sperimentate, alla ricerca di qualcosa di unico e autentico”, racconta. Il successo di un intervento per lui non si misura tanto in elementi stilistici riconoscibili, quanto nell'atmosfera che riesce a creare. "Il vero filo conduttore dei miei progetti è quella sensazione di benessere che provi quando entri in uno spazio ben progettato. Se chi lo vive si sente a proprio agio e percepisce armonia e comfort, allora ho raggiunto il mio obiettivo”.
L'incontro con Stefano Casadei e il progetto Olianas nascono attraverso una connessione fiorentina e poi, in un secondo momento, con l’intervento nella cantina dell’architetto Innocenti. Al suo arrivo a Gergei, la struttura principale esisteva già ma "Stefano mi ha chiesto di darle carattere, un'anima, rispettando il luogo dove eravamo”.
La trasformazione è partita dagli interni, con la creazione di una sala degustazione dove il verde muschio delle pareti dialoga con il cannizzo tradizionale dei soffitti. I tavoli, disegnati su misura, integrano il legno delle vecchie botti. L'ampliamento successivo ha visto nascere lo shop e le unità abitative, reinterpretando l'architettura locale: "Abbiamo usato un color fango che ha uniformato l'edificio con l'ambiente circostante”.
Il progetto abbraccia l'intero paesaggio: il posizionamento degli ulivi, i muretti a secco, le pavimentazioni in pietra locale. L'anfiteatro, ultimo tassello, utilizza pietre trovate nella tenuta stessa. "Quello che vorrei che una persona percepisse arrivando a Olianas," riflette l'architetto, "è che quanto costruito sia perfettamente inserito nel territorio, come se fosse sempre stato lì”.
Il futuro vedrà la nascita di nuovi spazi, già in progettazione, che “seguiranno l'architettura sarda, con un tocco minimo di contemporaneità, ma senza stravolgere niente”, anticipa l’architetto. Una sintesi perfetta del suo approccio: rispettoso della tradizione ma capace di proiettarla nel futuro.
L'approccio di Innocenti a Olianas, così come quello di Buccoli nei suoi progetti, racconta una verità dell'architettura contemporanea: progettare nel territorio significa prima di tutto ascoltarlo. Non si tratta solo di edificare strutture funzionali, ma di creare luoghi che dialoghino con il paesaggio circostante, rispettandone l'identità. Dall'uso delle pietre locali alla scelta dei colori che si fondono con la terra, dalle tecniche costruttive tradizionali reinterpretate fino al posizionamento attento di ogni elemento nel paesaggio, il lavoro dell'architetto diventa un atto di mediazione tra presente e passato, tra innovazione e memoria. È un equilibrio delicato che richiede sensibilità e conoscenza, ma soprattutto la capacità di mettere da parte l'ego creativo per lasciare che sia il luogo stesso a suggerire la strada. Solo così l'architettura può diventare non una sovrapposizione al territorio, ma una naturale evoluzione del suo racconto.