Federico Esu: l'architetto di connessioni che ricostruisce la Sardegna | Olianas

Federico Esu: l'architetto di connessioni che ricostruisce la Sardegna

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Federico Esu: l'architetto di connessioni che ricostruisce la Sardegna

a cura di Jessica Cani

Federico Esu è l'incarnazione di quel ponte che ha sempre sognato di costruire: metà sardo, metà siciliano, cresciuto in una Carbonia che era già di per sé un laboratorio di contaminazioni culturali. Da questa doppia radice – il nonno pastore di Barbusi e i nonni siciliani che scelsero l'isola come casa – ha sviluppato uno sguardo capace di abbracciare mondi diversi e di riconnetterli.

Dalle radici sulcitane all'orizzonte europeo

Nato a Iglesias e cresciuto a Carbonia, Federico ha respirato fin dall'infanzia l'essenza di un territorio con radici miste. "Carbonia era il melting-pot perfetto: niente costume tradizionale, niente piatto 'nostro', ma un'incredibile contaminazione culturale", racconta. Questa miscela di identità ha plasmato la sua visione del mondo e la sua capacità di cogliere opportunità oltre i confini.

Le sue radici affondano in due terreni complementari. Il ramo paterno lo riconnetteva alla Sardegna profonda: «I nonni di Barbusi parlavano in sardo, il mio parco giochi era una montagna intera; conigli, galline, zio Silvano che tutti chiamavano così. Da carboniense rimanevo incantato da quel mondo agro‑pastorale». Il ramo materno, invece, gli raccontava la mobilità: «I nonni siciliani arrivarono ventenni, fecero persino una parentesi a Torino per lavoro alla Fiat, poi scelsero di tornare qui perché l’isola era ormai casa».

Da quel doppio sguardo nasce la spinta a esplorare. Dopo il liceo si trasferisce a Cagliari e sceglie Giurisprudenza, attratto dal diritto internazionale. «Non mi bastava il confine di Carbonia: sentivo di non avere ancora gli strumenti per realizzare le idee che avevo in testa», confessa. La pratica legale al foro di Cagliari gli fa capire che la toga non è il suo destino. «Mi accorgevo che ciò che davvero amavo erano le lingue e le culture diverse. Partire non è stato un gesto di fuga, ma curiosità pura — con un pizzico di rabbia creativa: volevo vedere cos’altro ci fosse per me, fuori dall’isola».

L'Erasmus a Glasgow diventa la prima apertura verso un mondo più ampio, seguita dal master a Londra grazie alla borsa Master and Back.

L'officina brussellese: otto anni di trasformazione

Bruxelles rappresenta per Federico non tanto una città quanto un'opportunità professionale: "Sono arrivato perché volevo la Commissione Europea: per me Bruxelles era il lavoro, non la città". Otto anni e mezzo nel cuore delle istituzioni europee diventano un laboratorio dove affinare competenze e visione.

Da esperto legale si evolve in project manager, guidando accordi su innovazione e tecnologia, ma sente il bisogno di una cornice teorica più solida. Intraprende così un MBA serale alla Bocconi, volando regolarmente tra Bruxelles e Milano – un pendolarismo che, paradossalmente, lo riavvicina all'Italia e accende il pensiero di un possibile ritorno.

La pandemia accelera questa riflessione, trasformando Bruxelles in una città irriconoscibile: "La pandemia ha spazzato via i miei punti di riferimento: amici partiti, cene del giovedì scomparse, coworking chiusi". La "bolla expat" che prima sembrava avventurosa ora appare come un acquario sospeso, lontano da una vera comunità.

Itaca: non solo un podcast, ma un porto di ritorno

È proprio durante il lockdown che nasce Itaca, un progetto artigianale che diventerà la bussola del suo ritorno. "Che strumento ho, qui e ora, per unire le persone? Un podcast", si chiede Federico chiuso nel suo appartamento belga. Con un microfono entry-level e un lenzuolo appeso come fonoassorbente, inizia a registrare conversazioni che vanno oltre il curriculum.

La prima voce è quella di un amico conosciuto a Londra: "È la parabola perfetta: parte lavapiatti, studia di notte, oggi dirige un dipartimento alla Lloyd's". Federico non cerca talenti celebri, ma persone disposte a raccontarsi con autenticità. Mentre il progetto di interviste e chiacchiere evolve, si accorge che manca una prospettiva fondamentale: "Ci mancava la lente di chi rientra. Così ho virato sul dialogo tra chi parte e chi resta". Nascono le puntate-ponte che mettono in connessione mondi apparentemente distanti.

Il podcast rivela una potenza inaspettata: gli ascoltatori cominciano a scriversi fra loro, a scambiarsi contatti, a creare una rete spontanea di supporto reciproco. "A un certo punto mi sono ritrovato a gestire una chat WhatsApp con 70 nomi tra Vancouver e Villacidro: si scambiavano contatti, bandi, persino case in affitto". È la conferma che Itaca non è solo storytelling, ma una piattaforma di mutuo soccorso emotivo e professionale.

La fiducia che gli interlocutori di Itaca gli consegnano convince Federico che il progetto non è un semplice podcast, ma un’operazione di ricucitura sociale. «Queste conversazioni hanno il potere di rammendare un tessuto che in Sardegna si è sfilacciato perché abbiamo smesso di dialogare», osserva.

La decisione di tornare in Sardegna è sorta anche da queste conversazioni, seppur non immediata. Durante il colloquio con il nuovo datore di lavoro, Federico chiese di poter tornare in Italia. La replica arrivò rapida: «Perfetto, abbiamo una sede a Bologna». Fu allora che rilanciò: «Bologna è splendida, ma io vorrei farlo dalla Sardegna». Un attimo di sorpresa dall’altra parte e poi l’apertura: «Possiamo trovare un modo».

La scelta è maturata a quattro occhi con Sophie, la sua compagna belga: settimane di discussioni – «Rimaniamo a Bruxelles? Andiamo a Madrid, magari in Svizzera?» – finché, quasi all’unisono, la domanda giusta: «Perché non Cagliari? Qui c’è un fermento di rientri e di progetti che stanno decollando».

Federico, oggi, sorride ripensandoci: «Gli strumenti che mi mancavano a vent’anni li ho adesso. E ho capito che non devo avere io tutti gli ingredienti: basta avere le persone giuste con cui fare alchimia. Se funziona, sarà straordinario; se non funziona, avremo comunque provato nel momento migliore».

Nodi: l'ecosistema che trasforma l'isola in opportunità

Il ritorno in Sardegna, avvenuto a fine 2023, libera un'energia straordinaria. "In diciotto mesi ho realizzato più progetti che nei cinque anni precedenti", racconta Federico. Da questa energia nasce Nodi, un progetto ombrello che riunisce diverse iniziative: il podcast Itaca, workshop itineranti, incontri nelle scuole e un programma di mentoring.

"La Sardegna non ha bisogno dell'ennesimo 'genio che torna': ha bisogno di connessioni", afferma. Il suo contributo si concentra sul connettere persone e idee, sul vedere le situazioni dall'alto e trasformare anche un semplice aperitivo in un potenziale catalizzatore di cambiamento culturale.

Federico parla di responsabilità con lucidità: "Se hai avuto il privilegio di partire, studiare, tornare con nuove competenze, devi metterle a servizio della comunità". Questa convinzione si traduce in un programma di mentoring dove esperti diventano "fratelli maggiori" per chi cerca una guida, offrendo domande piuttosto che risposte preconfezionate.

La visione di Nodi è ambiziosa ma pragmatica: "L'obiettivo è far pesare la Sardegna sulla stessa bilancia di Milano o Londra". Oggi, osserva Federico, un'offerta ben pagata fuori dall'isola vale dieci volte una scommessa in Sardegna. Nodi lavora per riequilibrare questa disparità, affinché partire o restare diventino scelte libere e non necessità.

I primi risultati sono già visibili, come per esempio quel gruppo di "nodini" che, dopo essersi conosciuti solo virtualmente, hanno trascorso una domenica intera a Londra parlando di progetti per la Sardegna. È la prova che la rete funziona, che le connessioni generano altre connessioni.

Con la storia di Federico Esu arriviamo al primo anno di “Vite”: dodici appuntamenti per dodici volti che, ciascuno a modo suo, stanno ridisegnando l’isola. Non è un caso che lui sia l’ultimo ospite perché è con lui che stiamo disegnando il primo evento di Vite.

Per celebrare questo primo anno di narrazione abbiamo scelto di tornare alle origini, fra i filari della Tenuta Olianas.

Venerdì 24 maggio, in concomitanza di Cantine Aperte, Tenuta Olianas, Jessica Cani, mente di Vite e tessitrice di connessioni nel settore enogastronomico, e Federico Esu, per il suo ruolo di connettore di talenti nell’isola, riuniranno alcuni degli ospiti intervistati lungo il percorso, affiancati da nuove voci.

I dettagli dell’evento arriveranno a breve, ma una cosa potete già farla: segnate la data in agenda. Il 24 maggio brindiamo insieme a un anno di “Vite” e alle connessioni che continuano a germogliare: si parla, si beve, si mangia, si sta insieme.